lunedì 25 gennaio 2010

CAPITOLO VENTITRE

Eterno diventò per quel sergente
che a meno venti giorni dal congedo
l'improvvisa slavina travolgente
statua di cera lo creò............




CAPITOLO VENTITREESIMO

Fata celeste che sogno divenne
svanendo il sol d'un giorno caldo e breve,
tornato il gelo a irrigidir le penne
eterno parve quel manto di neve.
Eterno diventò per quel sergente
che a meno venti giorni dal congedo
l'improvvisa slavina travolgente
statua di cera lo creò, lo vedo
seduto su quel suo ultimo pensiero,
una ragazza forse, un casolare,
senza che uscisse della sorte il nero
come se pago fosse pel suo stare. (2982)

D'ira non fu l'ultima sua parola,
forse preghiera oppure di speranza,
l'anelito che abbandonò la gola
quel corpo congedò senza violenza.
Nella sventura, l'altri compagni suoi
poteron ricordar l'amaro istante
grazie ai cani valanga, grazie a noi,
tra questi uno divenne balbuziente,
s'era spezzata la favella sciolta
sotto quell'onda farinosa e fredda,
superstite espression era stravolta,
quella mortal paciosa come un Budda. ..(2994)

Sul camion quella bara tricolore
nel tempo d'una funebre funzione
la neve ricoprì col suo candore
si da svuotar retorico sermone
che sempre si rinnova in quegli eventi,
quando disgrazia empir si vuol di gloria
calpestando la pena dei parenti
offendendo dei morti la memoria. (3002)

Funeree cerimonie altre ne vidi,
la più tragica fu Cima Vallona,
carne squarciata da quegli omicidi
che braman servir d'Austria la corona;
quattro bare davanti a Tremelloni
e a quel monocolato generale
precursore di quelle losche azioni
dette poi trame d'eversion statale. ..(3010)

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