sabato 16 gennaio 2010

(45) CAPITOLO DODICESIMO

mi vibran come foglie di betulla
a mille a mille, in leggiadra danza,


CAPITOLO DODICESIMO

Tempo ramingo che ancora rimpiango
or che la vita condizioni pone
e, come vischio mi s'incolla il fango
d'una palude grigia; la ragione.
Mai dissennato fui, ne senza freni
mosse il mio camminar libero e vario,
lenti scorrevan l'anni, intensi, pieni,
inconsciamente nasceva quel diario
che ora m'ispira, adesso che la schiena
resa è curva da coniugal fardello
come una draga scandaglio la vena
e la scandaglierò fino all'avello. .......(1560)

Quello ch'io vi trarrò, come quell'altro
che già vi trassi, pur se d'umil pregio,
nessuno mai dirà che fu da scaltro
perché potessi trarne privilegio.
Un vorticoso mulinello frulla
mescendo luoghi, tempi, la distanza,
mi vibran come foglie di betulla
mille a mille in una leggedra danza,
nel variopinto affresco felliniano
un "Amarcord" continuo s'accavalla,
il camminar, ch'è fare quotidiano
s'insaporisce se ritorna a galla. ......(1572)

Un anno intero su quella pianura,
sole, poi nebbia, poi altro sole ancora,
l'afa ed il gelo poi nuova calura,
di cambiare il nido era giunta l'ora.
Non fu pesante quel nuovo congedo,
dipanati sembravano i grovigli
che s'eran trascinati da Moltedo
allor che trasferito fui da Pegli.
La nuova meta, affascinante lido,
Roma, l'imperatrice, la sovrana,
mai aquila creò più sommo nido,
l'eterno mito cui parola è vana. ..... (1584)

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