mercoledì 10 febbraio 2010

CAPITOLO QUINTO (II)

In volontaria schiavitù, attratti
dall'aureo sfavillio dell'opulenza
che i bagliori, nei più celati anfratti
spinge a testimoniar la sua potenza.




CAPITOLO QUINTO

Tante le aiuole d'Italico giardino,
diversi fiori, molteplici colori,
all'altri ognun per secoli vicino,
trapianti forse un dì non indolori.
Se rancore ci fu s'era disperso
col biodegradabile sapone
del camminar del tempo, che diverso
dal repentino impulso si dispone.
Trapianti, innesti pur tanto assortiti
spontanei ormai come fiori di campo,
ma quanti secoli erano serviti?
Chi or s'appella al tempo non ha scampo. (648)

Il tempo è diventato fiume in piena
tutto trascina, anche la memoria
che nella corsa si distorce e frena,
arduo è tenere il passo della storia
quando impietosa diventa, e l'equilibrio
ch'eterno ormai credevansi che fosse
comincia a traballar, sfugge il manubrio
a chi conosce ora le strade smosse.
Dov'erano già strade dissestate
il camminar diventa ora un inferno,
ecco le cronache allor meravigliate
come le estati di Villa Literno. (660)

Quell'oro rosso, frutto stagionale,
atteso pur se per magra mercede,
fonte esclusiva non è più locale,
l'antica povertà altra ne vede,
e, quell'avaro pane vien contesa
tra chi più parca ancor vede la mensa
e quei, stretto a subir senza difesa
che nella fame l'odio si condensa.
Or si condanna il bracciante campano
d'essere intollerante, esser razzista
verso quel miserabile africano
trattato certo non come un turista! (672)

Molto più facile dimostrarsi umano
per quell'inviato che fa l'intervista
da vecchi casolari diroccati
tra lerci materassi stesi a terra,
buste di platica, panni sparpagliati;
a tavola lo stomaco si serra
davanti a quelle immagini crudeli,
foran la mente le negriere navi
e le nervate su quegli infedeli
non domi o rassegnati ad esser schiavi
In volontaria schiavitù, attratti
dall'aureo sfavillio dell'opulenza
che i bagliori, nei più celati anfratti
spinge a testimoniar la sua potenza. (686)

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