sabato 6 febbraio 2010

CAPITOLO QUARANTADUE

ma, l'uomo non è l'albero sperduto,
viver non deve lontan dalla foresta
d'umanità; se non vuol esser bruto,
quella, statica par ma non s'arresta.




CAPITOLO QUARANTADUESIMO

Durava ormai da un anno il doppio gioco,
la porta chiusa più avrebbe aperto,
la porta aperta brontolava un poco;
-Ti decidi ad entrar?- Va bene, certo!-
Il traccheggiare diveniva vano,
se decisione mi pesava alquanto
ormai era passato l'uragano;
se c'è serenità t'aiuta tanto
a scorger altre strade all'orizzonte,
cercai di sceglier la più pianeggiante,
già m'erano scolpiti gli anni in fronte. (5601)

Mi congedai dal nero salvagente,
provvidenziale fu, ora gravoso
si proiettava nel lungo percorso;
senza nemmeno un giorno di riposo
n'altro ne apersi e chiusi quel discorso.
Ah! Quanto mi costò fare quel passo
che più d'un anno tenevo sospeso,
il dover ripartire giù, dal basso
anche se a terra mai ero disceso. (5610)

S'era stuccato l'ultimo frammento,
l'ultimo filo che legava ancora
all'affondato vecchio bastimento,
nuova sirena mi chiamava ora.
S'avessi dato ascolto alle campane
ancora durerebbe l'agonia
perché si da del furbo a chi rimane
a prender senza dare e tirar via.
Non sono furbo e non me ne pento,
le campane le sento e non le ascolto,
mi basta ciò che ho e son contento,
chi è contento penso abbia gia molto. (5622)

Era in famiglia tornata la pace
del solito tran-tran del quotidiano,
vita tranquilla, non tanto vivace,
come lo scorrere del fiume nel piano,
ma, l'uomo non è l'albero sperduto,
viver non deve lontan dalla foresta
d'umanità; se mon vuol esser bruto,
quella, statica par ma non s'arresta.
Quando credi a un'idea te la sposi,
la manifesti e sempre si difende,
i rampantisti anni, sì focosi,
falce martello fecero discende.
Il "regime" tranquillo, gongolava,
lui autoproclamandosi più degno
di quei che il cambiamento reclamava,
qual se divino fosse il suo disegno. (5638)

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