domenica 21 febbraio 2010

CAPITOLO DODICI (II)

Già stanno appesi come foglie morte
i figli del benessere diffuso
rassegnati alla loro incerta sorte
d'un avvenir caotico, confuso.




CAPITOLO DODICESIMO

LIBRO SECONDO

La poesia è alito di vento
che canta tra la danza delle foglie,
la poesia è un dorato tramonto
allor che in mare il sole si scioglie,
un riverbero argenteo nella notte
mentre l'ultima lucciola s'accende
e poi si spegne; oggigiorno si sfotte
chi di ciò sa goder, non si comprende,
eppur chi fugge dalla poesia
eterno avrà l'inverno dentro il cuore,
vivrà già morto pur se ricco sia;
non sempre la ricchezza dà calore. (1682)

Già stanno appesi come foglie morte
i figli del benessere diffuso
rassegnati alla loro incerta sorte
d'un avvenir caotico, confuso,
convertiti per forza al liberismo
che ha mandato in esilio il posto fisso,
(pei loro genitori un catechismo),
senza reazione affrontano l'abisso
della precarietà, orrido, oscuro.
Quale eretico fosse, si bombarda
colui che aspira a un tranquillo futuro,
come se solo l'oggi lo riguarda; (1694)
come se fosse l'ultima stagione.

Ah! Che tristezza non capir che i beni
così copiosi non sono un'occasione,
ne frutto son di benevoli geni;
Geni son stati i padri, col sudore,
nello scalar ad uno ad uno i pioli (1700)
con la tenacia dello scalatore
nella certezza di non essere soli
per costruire strade ai loro figli,
strade che a questi ora paiono strette
e, ineducati ad adoprar gli artigli
godono ciò che l'oggi gli permette.
Consumato il raccolto altro ne viene
se si continua a coltivare i frutti,
le madie non saranno sempre piene
se anno per anno il grano non ributti. (1710)

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